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Il volo Roma-Tokyo del 1920! Guido Masiero e Arturo Ferrarin

L’idea di un volo dall’Italia al Giappone era stata rivendicata da Gabriele D’Annunzio già nel 1919, ma con modalità diverse dall’impresa che poi fu realmente effettuata. Era appena finita la prima guerra mondiale, l’aviazione doveva dimostrare la sua utilità e l’industria italiana si trovava a disporre di un aeroplano, l’Ansaldo SVA, che aveva buone prestazione e un notevole potenziale di esportazione, fattori che lo rendevano meritevole di una campagna promozionale.

Un ulteriore motivo, storicamente non documentato, sarebbe stato distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal colpo di mano che il poeta aveva compiuto il 12 Settembre 1919, occupando la città di Fiume e distrarre lo stesso D’Annunzio, per indurlo ad abbandonare la “reggenza del Carnaro”, cosa che in effetti fece solo il 29 Dicembre 1920. Era stato proprio il poeta a sottoporre agli aviatori della Serenissima, durante una permanenza a San Pelagio, l’idea iniziale dell’impresa, specificando con largo anticipo e dovizia di dettagli quali piloti avrebbe voluto con sé, come dovevano essere attrezzati gli aerei e come dovevano strutturarsi le tappe; 12, secondo lui.

MASIERO E FERRARIN TRIONFANTI A TOKIO

Così, gli enti che sovraintendevano a queste attività, come il comando supremo e la direzione generale d’aeronautica, messi al corrente dell’idea, pianificarono quello allora si chiamava “raid”, con uso improprio del vocabolo inglese, che in realtà significava “scorreria”, mentre più giusto sarebbe stato “ride” (cavalcata/viaggio), dalla pronuncia quasi uguale…

Ad agosto 1919, la notizia dell’impresa era già sulla “Gazzetta dello Sport” e sul “Corriere della Sera”. Il trasferimento dall’Europa all’Asia avrebbe dovuto svolgersi con una formazione composta da quattro grandi trimotori Caproni (due Ca.3, un Ca.4 ed un Ca.5) e un sette ricognitori-bombardieri leggeri Ansaldo SVA: di questi, due avrebbero avuto il ruolo accessorio, definito “di staffetta”, cioè di assistenza e collegamento, nella prevedibile eventualità di atterraggi fuori campo. Si trattava dei due biposto SVA.9 pilotati dai ten. Arturo Ferrarin (motorista Gino Capannini) e Guido Masiero (motorista Roberto Maretta). Il poeta avrebbe volato a bordo di un biposto con Antonio Locatelli, poiché il fidatissimo Natale Palli aveva perso la vita il 23 Marzo 1919. Il numero di soste previste dall’idea originale era aumentato un po’: si trattava di effettuare la trasvolata in 19 tratte da Benares, Rangoon, Bangkok, Hanoi, Canton, la regione di Kiao-Ciao, Pechino e Osaka, mentre a Bassora, Calcutta e Shanghai venivano preparati motori di ricambio e personale tecnico. Da questa progettazione all’esecuzione del raid cambiarono alcune cose; oltre alla già menzionata morte di Palli, ci fu il trasferimento di Locatelli in Argentina e lo stesso D’Annunzio, troppo preso dal suo nuovo ruolo a Fiume, cedette il posto di guida spirituale dell’impresa ad un altro poeta, insegnante di lingue orientali all’Università di Napoli e volontario negli Arditi, Harukichi Shimoi, il quale declinò l’offerta. Anche molti altri dei piloti assegnati avevano ricevuto nuovi incarichi e così tra l’8 gennaio e il 4 febbraio 1920 decollarono i seguenti equipaggi: primo Ca.3: Edoardo Scavini e Carlo Bonalumi; secondo Ca.3: Leonardo Negrini, Giovanni Origgi e Dario Cotti; Ca.4: Luigi Garrone, Enrico Abba, Alfredo Momo e Alfredo Rossi; Ca.5: Virginio Sala, Innocente Borello e Antonio Sanità, più i sette SVA; di due di essi si è già detto, gli altri avevano equipaggi composti da Giuseppe Grassa e Mario Gordesco, Umberto Re e Bixio Alberti, Ferruccio Ranza e Brigidi, Amadeo Mecozzi e Bruno Bilisco, Ferruccio Marzari e Giuseppe Damonte. Uno dopo l’altro tuti gli aerei dei titolari abbandonarono la missione: il primo dei due Ca3, pilotato dai Tenenti Scavini Bonalumi, si fermò nel deserto della Siria; il triplano Ca4 di Garrone e Abba si arrestò a Sallonicco per un principio di incendio. Il Ca5 Di Sala, Borello e sanità soffri gravi avarie e riuscì ad atterrare a Kekli, in Turchia. Sempre in Turchia, terminò il raid l’ultimo Caproni, con a bordo Negrini, Origgi e Cotti. Nel frattempo i due piloti di SVA, Ferrarin e Masiero, senza poter sapere cosa stesse avvenendo, erano partiti dopo tutti gli altri, il 14 febbraio 1920, dall’aeroporto di Roma-Centocelle, curiosamente, ai due, forse a causa del loro ruolo giudicato secondario, erano stati assegnati aeroplano che non avevano beneficiato di una particolare messa a punto: la macchina di Ferrarin ad esempio, aveva un motore da 220 CV depotenziato a 180(a tutto danno della corsa di decollo) e serbatoio della benzina con capacità ridotta di 110 litri. Non sappiamo quanto sia leggenda e quanto sia realtà, ma si riporta che Ferrarin avesse dichiarato di aver avuto a bordo, quali unici strumenti di navigazione, una bussola e una pagina strappata di nascosto da un atlante…La sventura si accani anche contro la pattuglia degli SVA decollata l’11 marzo: il capitano Re, con il cineoperatore Albertini, per un malfunzionamento del motore del motore si fermo a Valona, Mecozzi e Bilisco non riuscirono a decollare da Aleppo: urtarono un ostacolo invisibile sulla pista coperta di erba alta e perciò ipotizzarono un sabotaggio. vi furono momenti anche particolarmente drammatici. i due piloti Ranza e Marzari erano entrati in collisione in rullaggio e dai pezzi integri dei loro due SVA gravemente danneggiati, trassero un esemplare in grado di volare, solo per essere abbattuti, poco dopo, da una scarica di fucileria da parte di predoni arabi; furono fatti prigionieri ma dopo pochi giorni furono liberati. Meno fortuna ebbe il pilota Grasso e il motorista Gordesco: in decollo , per una piantata del motore, finirono contro un edificio, Trovarono la morte.

Masiero e Ferrarin fecero la trasvolata incolumi, ma anche per loro le tappe del volo fino in India non erano state poi così tranquille: cattiva visibilità per nubi basse fino a Valona e un hangar scoperchiato da una tempesta a Salonicco; piacevole invece risultòla sosta a Smirne, dove il faro della nave da guerra Nino Bixio li guido sulla rotta; quella sera stessa si imbarcarono per partecipare a una festa e ritrovarono anche Origgi e Negrini. A nuova Delhi rimasero bloccati per un po’ a causa dell’assenza di una pista di decollo: al giorno stabilito per la partenza alla volta di Calcutta, l’unico spazio utilizzabile era adibito ad ippodromo. Masiero tento di alzarsi in volo dalla piazzolo dell’Hangar, ma spezzo il carrello e cappottò, dovendo proseguire in treno fino alla sosta successiva, dove era pronto l’aeroplano di ricambio. Il 10 marzo, a Calcutta, i due piloti ricevettero un telegramma che ordinava loro di attendere il resto della squadriglia SVA ma quando, dopo 20 giorni, ancora no si vedeva alcun aereo italiano oltre il loro, decisero autonomamente di ripartire e il 31 affrontarono il faticoso sorvolo di Birmania, Cina, Indocina, Manciuria e Corea. Ferrarin fu costretto ad una sosta di 12 giorni a Rongoon per aspettare un ricambio; il 20 aprile, Masiero arrivò a Canton, in Cina, mentre Ferrarin atterò il giorno dopo, in piazza della città, perché a causa del monsone l’aerodromo era allagato. Al momento di ripartire, sotto una fitta pioggia, con il terreno fangoso e avendo lasciato a terra tutto il superfluo per facilitare il volo, Masiero distrusse l’aeroplano in decollo e dovette compiere in nave la tappa successiva, fino a Shanghai, dove era stato predisposto l’aeroplano di ricambio per una simile evenienza. A Tsing-Tao capitale del Kiao-Ciao, da poco divenuta la importante colonia giapponese in Cina, e a Pechino, i piloti furono insigniti di onorificenze: ormai i due aviatori avevano ottenuto grande fama e in ogni sosta c’erano celebrazione e testimonianze di stima. In effetti, il Raid Roma-Tokio fu uno strano connubio di meticolosa preparazione e di dilettantesca improvvisazione…Masiero giunse a Tokio il 30 maggio 1920, dopo meno di un ora prima di Ferrarin. Entrambi realizzarono il miracoloso viaggio impiegando 109 ore

Nella capitale del Giappone, i due eroi presero parte a 40 giorni di festeggiamenti pubblici, culminati nel ricevimento al palazzo imperiale dove sua maestà conferì loro, come attestato di stima, due spade da samurai. In itala nel frattempo, l’attesa per l’arrivo dei trasvolatori aveva assunto la connotazione del più acceso tifo sportivo: i piloti dei Raid erano diventati i personaggi più ammirati della nazione e di li in poi l’amore degli italiani per le imprese aviatorie divenne sempre più forte.

One thought on “Il volo Roma-Tokyo del 1920! Guido Masiero e Arturo Ferrarin

  1. Marina Masiero ha detto:

    Articolo strepitoso!

    Grazie!

    Marina Masiero (nipote di Guido Masiero)

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